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Trento, 19 ottobre 2011
«Grisenti ha pagato l'esagerato attivismo»
Boato: «Ha sbagliato strategia, ma questa non è un'esclusione a vita»
intervista a Marco Boato
del Corriere del Trentino di mercoledì 19 ottobre 2011

Toni pacati, sobri. Marco Boato, ex deputato e membro dell'ufficio di presidenza dei Verdi, sfodera un profondo garantismo nel rileggere la sentenza di condanna che pesa come un macigno sulla vita politica di Silvano Grisenti. Un anno e sei mesi per tutti i reati contestati all'ex presidente di A22. Corruzione, tentata concussione e truffa aggravata. Con questo quadro, c'è chi ipotizza la fine di una parabola politica che pareva puntare direttamente alla presidenza della Provincia. Ma per Boato, invece, non finisce qui il protagonismo del «superassessore». «Questa non è una condanna a vita, questo è uno Stato di diritto e va difeso» precisa. Eppure fu proprio il deputato dei Verdi a sollevare la questione della «magnadora». Era il 2006. Ma ieri come oggi Boato ribadisce il senso «politico» della sua denuncia. Un vizio etico, anziché giuridico. All'indomani della decisione della Corte d'appello c'è spazio anche per una riflessione sulla strategia processuale di Grisenti. Per Boato, infatti, «ha pagato l'eccessivo attivismo». Esagerata esposizione. Iper-attivismo. Spettacolarizzazione. Scelte che, per il leader dei Verdi, con il senno di poi si rilevano incaute.

Boato, la sentenza di condanna di Silvano Grisenti ha scosso il mondo politico che ha reagito dividendosi fra «no comment» e timide dichiarazioni. Lei come ha colto l'esito del giudizio d'appello?
«Non gioisco mai per le condanne, sono sempre stato garantista. Quello che posso dire è che, dal mio punto di vista, ha sbagliato a pubblicizzare la sua strategia difensiva. Non gli ha giovato per nulla l'aver pubblicato sui giornali le proprie tesi. Non è stato abile nella strategia del processo, gli conveniva esporsi in questo modo solo dopo la sentenza di secondo grado. Ha esagerato nell'iper-attivismo e la spettacolarizzazione non l'ha aiutato».

Nel sobborgo di Povo all'indomani della sentenza emerge una grande sobrietà. L'affetto per Grisenti è palpabile, ma l'attaccamento emotivo e personale non tradisce sfoghi contro la decisione della magistratura che è stata accettata silenziosamente. Una reazione contenuta?
«Fortunatamente qui c'è sempre stato un clima di generale pacatezza, diverso da altre grandi città come Milano e Roma. Al di là delle fasi iniziali del 2008, caratterizzate da una maggior esposizione, non abbiamo mai raggiunto i toni che si trovano altrove. Quando la vicenda è esplosa c'è stata una grande eco, ma non si è riproposto il circo mediatico giudiziario, utilizzato per attirare l'opinione pubblica contro l'indagato».

Quindi qui non c'è l'accanimento mediatico e popolare che, invece, si trova in altri contesti?
«Rispetto al clima che si ritrova in altre città la situazione è diversa, sia per quanto riguarda il versante giuridico che per quanto concerne l'opinione pubblica».

L'esito, per certi versi, ha sorpreso molte persone che si aspettavano una completa assoluzione. Anche lei è rimasto sorpreso?
«Ora aspettiamo di leggere le motivazioni. Mi auguro che la sentenza si basi sui fatti e sulle prove anziché sul clima politico».

La vicenda giudiziaria s'intreccia a doppio filo con quella politica. Lei fu tra i primi a sollevare il vizio di un certo atteggiamento dell'amministrazione. Era il 2006.
«Sono io che a suo tempo, nel 2006, lanciai l'allarme della "magnadora" oggi cavalcata dalla Lega Nord. Io però allora ho fatto una denuncia politica, sull'arroganza di un certo modo di fare politica. Non avevo l'obiettivo di fare esplodere un caso giudiziario, quanto piuttosto sollevare uno stile arrogante. Io sono garantista e già dopo l'esito del primo grado ho ribadito che Grisenti avrebbe potuto tornare in campo. Questo è uno Stato di diritto e va difeso».

La sentenza era attesissima dall'intero mondo politico. Se non bastasse, le ultime uscite di Grisenti a pochi passi dell'esito del procedimento, hanno attirato l'attenzione dei cittadini. Il suo carisma pareva tutt'altro che affievolito: questo è realmente il tramonto politico o, visto il seguito che tuttora riesce a raccogliere, è piuttosto una sospensione?
«Grisenti ha indubbiamente un suo ambito di consenso. Però rappresenta un modello di politica superato, a mio parere. Ha cercato di mettere in campo un consenso populista, tipico della fase della Margherita, legata agli amministratori comunali. Una fase passata perché l'Upt si è resa conto che quel modo di agire non paga. Ma potrebbe cogliere questa pausa come una riflessione».

Quindi una volta scontato il periodo «in panchina» potrebbe recuperare i rapporti con l'elettorato?
«Io gli faccio i miei auguri per il proseguo in Cassazione. Non ho mai goduto delle disavventure altrui e questa non è una esclusione a vita dalla politica. Questa fase potrebbe segnare una riflessione per superare un modello».

 

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